lunedì 02 aprile 2018 Non saremo indiani per sempre

Di Piazza durante Lecce-Siracusa
Di Piazza durante Lecce-Siracusa

Alla fine della giornata di sabato, noti tutti i risultati, tutti noi abbiamo rivissuto le ansie e i tormenti che hanno spesso contrassegnato gli ultimi sei anni, chi con rabbia, chi con rassegnazione, chi infine con frustrazione. Anche chi scrive ha voluto fermamente evitare di leggere e di pensare, pervaso come molti da una nausea sottile. Poco vale parlare della partita con il Siracusa, una partita che si poteva vincere (prima ancora si doveva vincere) ma che ha rappresentato un'altra stazione di questa personale via Crucis della squadra e della tifoseria, questa volta con poche colpe da parte dei giallorossi: un pareggio subito per un rimpallo da flipper, ma con similitudini impressionanti rispetto ad altre reti subite di recente, pali, molte occasioni, qualche brivido sulle ripartenze di Scardina e compagni, ma, tutto sommato, una partita in cui si è vista la reazione della squadra.
Ripartiamo da qui: chi tifa e chi osserva non dovrebbe restare vittima di troppe dietrologie, né è ragionevole fare riferimento al primo campionato post retrocessione, caratterizzato da troppe situazioni uniche e irripetibili. Chi tifa e chi osserva, se ha imparato nella propria personale esperienza cosa significa raggiungere un risultato, di qualunque genere, o mancarlo, sa che a nessuno piace perdere e che difficilmente, in una situazione di "normalità", qualcuno può pensare di "giocare a perdere". Non vuole perdere la società, non lo vuole il direttore sportivo, non vuole perdere il giocatore solo per fare un dispetto al compagno di reparto. Se vogliamo essere prosaici, vincere gratifica in primo luogo il portafoglio, e insieme le ambizioni personali e aziendali.
La squadra e l'allenatore possono recriminare sulle occasioni lasciate passare, ma non sul pareggio di ieri, e il mezzo passo falso non può cambiare significativamente la percezione delle opportunità, residue (di vincere ancora il campionato) o dei rischi (di perderlo). Ci sono stati errori, certo, ma non più che nel percorso delle nostre concorrenti: lo dice la classifica. Le nostre concorrenti sono ora avvantaggiate e galvanizzate dalla prospettiva di avercela quasi fatta, ma sono state già capaci come noi di incredibili inciampi e di fasi negative, come capita ora al Lecce purtroppo nel momento più delicato della stagione. Ma l'organico del Lecce è di prim'ordine, forse non il più forte, ma forte abbastanza e maturo, l'allenatore e lo staff tecnico hanno dimostrato di avere passione e competenza, la società è fatta da persone qualificate e consapevoli. I tifosi sono da serie A e lo sottolineano ad ogni partita.
Ripartiamo da qui con un minimo di fiducia ancora senza vedere necessariamente complotti interni. Il tifoso soffre, gioisce o impreca. I giocatori vincono o perdono. Sappiamo che è così. Ma il primo non è Hercule Poirot alle prese con il classico misterioso assassino e i secondi non sono cospiratori aridi e spietati. Ripartiamo dalla nostra passione e dalla nostra storia di gioie e di sofferenze sapendo che non è ancora il momento della resa e senza farci condizionare dai nostri incubi. Viene in mente quella barzelletta in cui due spettatori al cinema assistono alla furiosa battaglia tra indiani e cowboys e uno dice all'altro "Scommettiamo che vincono gli indiani?", perdendo poi regolarmente la scommessa al prevalere dei cowboys, ma concludendo: "Il film l'avevo già visto, ma oggi gli indiani mi sembravano più in forma".
Ma dove sta scritto che gli indiani dobbiamo essere sempre noi?

(o-w.k.)