mercoledì 12 settembre 2018 Tifosi che tifano, tifosi che sbagliano

Proteste leccesi al termine di Lecce-Salernitana
Proteste leccesi al termine di Lecce-Salernitana

È stato difficile, e a volte frustrante, essere tifoso del Lecce in questi sei anni. È stato difficile vederlo giocare e talvolta perdere contro avversari sconosciuti ma non per questo meno rispettabili, è stato difficile seguirlo su campi di calcio spesso indegni di questo nome, è stato difficile vederlo soccombere a pochi metri dal traguardo, ed è stato difficile e anche doloroso doversi convincere e convincere i più scettici che prima o poi questa sofferenza sarebbe finita e che i giallorossi sarebbero tornati a calcare palcoscenici più consoni alla loro storia recente.
Talvolta è stato tremendamente difficile ricominciare un campionato pensando alle delusioni di quello precedente, e ritrovare l’ottimismo e l’entusiasmo che erano stati soffocati solo poche settimane prima. Per non parlare di quanto sia stato difficoltoso e qualche volta penoso dover seguire le partite della propria squadra, per i fuori sede o per chi non poteva permettersi faticose trasferte, guardando 11 ectoplasmi giallorossi sullo schermo di un portatile o di un cellulare, con connessioni improbabili e con commenti al limite della decenza.
Sì, abbiamo sofferto molto in questi anni, e adesso ci siamo meritati un po’ di soddisfazione. Ma non è stato così difficile essere tifoso del Lecce in questi sei anni quanto lo è stato in quest’ultima settimana, segnata dalle proteste e dalle polemiche per il debutto in campionato di Mino Chiricò.
Ecco perché sarebbe stato utile che ognuno dei tantissimi genuini “giallorossi dentro” (ultrà e non) avesse dedicato questi giorni per riflettere e a valutare quale fosse stato il senso di quei sacrifici di quelle sofferenze, quale fosse stato il senso delle lacrime e della rabbia sprecate in sei anni di Lega Pro. Non esistono veri tifosi e mezzi tifosi, così come sulle gradinate del Via del Mare non esiste un solo spettatore che non sia legato a questi colori; e tanto più vi sono legati quei tanti tifosi che seguono la squadra attraverso l’Italia e da varie parti del paese e oltre.
E’ ingiusto, e per certi versi brutale, che questa tifoseria si divida tra pro e contro, tra puri e “ bastardi”, tra popolo della curva e spettatori delle tribune, tra tifosi “ordinari” e ultrà. Non è giusto, lo dico a noi stessi, dare patenti alla nostra passione; non è giusto ed è autolesionistico dividere questa passione tra tifosi accomodanti e tifosi intransigenti, soprattutto se questo atteggiamento diventa irrispettoso e per certi versi prevaricatore e mette in discussione, mortifica la passione di una vita di molti di loro, di molti di noi, etichettandoli come tifosi “di serie B”.
E non si fa il bene del Lecce se in questa divisione tra buoni e cattivi si fanno distinguo anche all’interno o verso la compagine societaria o con riguardo alla guida tecnica della squadra. Anche in queste persone, anche da parte di queste figure ci sono stati sacrificio, passione, determinazione e costanza. E se c’è stata razionalità, o calcolo, o lungimiranza, o ancora errori di valutazione, questo non cancella la loro passione, e la buona fede con cui investono (denaro o lavoro) anche per tenere viva la nostra passione. La proprietà, così come gli allenatori che si sono succeduti alla guida della squadra, spesso consapevoli della responsabilità che portavano nei confronti dell’ambiente, della città e della tifoseria, non meritano meno credito, meno fiducia e meno rispetto delle migliaia di tifosi che hanno sostenuto la squadra al Via del Mare come su sperduti campi di provincia, che hanno gioito, pianto e imprecato per i colori giallorossi. E così come la società ha creduto nella piazza e nella enorme passione che negli anni ha continuato a sostenere comunque questa squadra, così ora popolo giallorosso, tutto, deve allo stesso modo credere nelle capacità decisionali, nella qualità del progetto e nelle scelte della società.
E merita credito, almeno a tempo, almeno per una volta, anche la causa di questa deriva divisiva: non perché non si sia “macchiato” di una qualche colpa giovanile, che non lo rende più censurabile di tanti prestatori d’opera visti nel nostro rettangolo di gioco, non perché si sia scusato, in modo forse anche poco convincente. Ma perché oggi veste quella maglia che qualcuno vorrebbe si togliesse, e per la quale ognuno di noi nutre lo stesso amore e talvolta perde il sonno. Se proprio non abbiamo altre giustificazioni, accettiamolo perché se l’ha fatto quel 23 settembre del 2012 può farlo ancora e farci urlare di gioia.
Il progetto c’è, il gioco anche, con qualche maggiore accortezza verranno probabilmente più punti e maggiore convinzione. Voltiamo pagina: possiamo tornare a tifare, gioire, imprecare e finalmente divertirci, insieme.

(o-w.k.)