domenica 21 luglio 2019 Un grande tifoso, un grande imprenditore

Giovanni Semeraro nel 2011
Giovanni Semeraro nel 2011

Giovanni Semeraro è stato un uomo elegante e affabile, cortese, capace di un sorriso verso tutti. Un uomo certo consapevole della sua posizione privilegiata e del suo ruolo pubblico, ma profondamente "leccese" e "pari" con la sua gente, una persona che nella sua gente amava immergersi e con la sua gente sapeva confrontarsi. Giovanni è stato tifoso appassionato e ambizioso, ma anche imprenditore moderno e lungimirante. Questo va detto innanzitutto e questo sembra finalmente trasparire dai commenti apparsi negli ultimi giorni nel Forum di questo sito, se escludiamo qualche punta sporadica di rispettoso risentimento.
E’ stato tifoso appassionato fino da quando era in posizioni defilate in Società e soprattutto quando ha deciso di regalare alla città il suo impegno e parte del suo patrimonio per risollevare una squadra e una società allo sbando; talmente appassionato da seguire con trepidazione e fino all’ultimo il "suo" Lecce, la squadra della sua città amatissima, anche quando le sue condizioni di salute lo avrebbero sconsigliato. Ed è stato un tifoso ambizioso per quanto ha saputo far crescere la sua e la nostra creatura, per metterla in condizione di competere con i "grandi" del pallone fino a renderla un riferimento del calcio nazionale pur partendo da uno status di provinciale e per giunta geograficamente periferica. La bellezza del Lecce e di Lecce città, l’unicità del Lecce e del Salento come "luogo di emozioni", la loro riconoscibilità, per noi leccesi come per chi ci rende visita, sono cresciute di pari passo.
Le sue ambizioni hanno nutrito le ambizioni stesse del popolo giallorosso, e sostenuto quel poco di irritante supponenza che accompagnava i cori del "bisogna lottare - in serie A noi dobbiamo tornare" anche quando si giocava a Lentini, a Fondi o su campetti improponibili. Grazie a Giovanni Semeraro il Lecce e il suo tifo sono stati traghettati in trent’anni dalla dimensione ruspante e coerente con il calcio degli anni ’70 di Iurlano e Cataldo – sia detto con il massimo rispetto - a quella visione contemporanea e imprenditoriale del calcio del business, che i romantici oggi disdegnano ma che non poteva essere ignorata, pena scomparire dalla memoria del Dio Pallone come è successo a tante piazze della provincia italiana più ricca. Da imprenditore ha fatto le cose che un ottimo imprenditore farebbe sempre: tutelare la sua creatura in primo luogo coniugando oculatezza con scelte imprenditoriali di elevato valore (per tutti, il grande investimento sul vivaio, sul "futuro" dell’impresa Lecce); circondarsi di personale competente (il vituperato ed esorbitante Corvino, ma anche il "mite" ma capace Osti), di uno staff tecnico di qualità con geniali quanto precoci intuizioni (Di Francesco su tutti) e di assicurare la continuità del Lecce e della sua passione coinvolgendo i figli nella gestione. In alcuni casi le scelte non sono state felici o corrette nel timing (Prandelli), hanno anche prodotto come sappiamo conseguenze dolorose, ma sono state fatte sempre con passione e intelligenza, anche quando queste doti sono state offuscate e quasi soffocate da delusioni o grandi amarezze.
Il grande lascito del Presidente Giovanni Semeraro è stato questo: saper essere imprenditore del calcio senza perdere la passione, il sentimento di un vero tifoso. Averci regalato la sua ricchezza (materiale professionale e di esperienza) per il piacere di vedere e di vederci vincere e competere come città e come squadra, e, quando si è perso, aver gettato nuovamente nel piatto ambizione, passione e risorse per ricominciare a vincere nuovamente, come fece nell’ormai lontano 1994. Quando il Lecce è caduto, lui lo ha ripreso per mano e riportato dove, noi siamo convinti (ma sarà così?), meritava. L’ultima volta non ci è riuscito, non ha voluto o forse non ha potuto: forse stanco, forse perché troppo amareggiato, forse perché preoccupato del futuro della sua famiglia, forse o meglio innanzi tutto responsabile per chi gli stava accanto. Perché arriva un momento in cui ti rendi conto di non poter essere tutto in modo impeccabile, tifoso, uomo ambizioso, imprenditore intelligente, ammirata figura pubblica e padre amorevole: sei costretto a rinunciare a qualcosa, perché il tempo non ti permette più di miscelare come facevi un tempo passione, energie, lungimiranza e "sostanze".
Credo che non tutti o tutte, ma molte e molti di noi, se potessero scegliere il modo in cui vorremmo essere ricordati, non potrebbero fare scelte diverse. Aver dato molto, moltissimo per gli altri, città, collaboratori, dipendenti, tifosi e appassionati, ma aver dato e fatto tutto il possibile per coloro ai quali siamo stati accanto sempre, e che ci sono stati accanto fino all’ultimo respiro. Io lo ammiro anche e soprattutto per questo. Arrivederci, Presidente.

(o-w.k.)